Massimo Cavalli

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Slideshow. Massimo Cavalli intervista su Jazz Convention
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Scritto da Guido Michelone
Giovedì 10 Gennaio 2013 00:00

Foto: Gonçalo Fabiao

Slideshow. Massimo Cavalli.

Jazz Convention: Così, a bruciapelo chi è Massimo Cavalli?
Massimo Cavalli: Sono italiano di nascita e portoghese d’adozione, suono basso, contrabbasso e a volte immagino melodie che poi diventano canzoni. Sono per lo più sconosciuto in Italia anche se sono nato in provincia di Biella. Vivo in Portogallo dal 1996, dove suono in vari contesti musicali, a volte molto differenti tra di loro, insegno contrabbasso e basso elettrico e mi piace correre.

JC: Mi parli in breve di Varandas do Chiado?
MC: Varandas do Chiado, in italiano significa “i balconi del Chiado”; il Chiado è un quartiere centrale e bellissimo di Lisbona. L’idea di questo CD è nata durante una serie di concerti che si sono svolti in una balconata di un centro commerciale nel cuore di questo quartiere; la vista era esattamente quella che c’è sulla copertina del CD, guardando le persone da quella distanza e con quella prospettiva mi ha fatto pensare alla necessità di fare un punto della situazione sulla mia carriera. A partire da quel momento tutto è stato facile, ho raccolto gran parte dei temi scritti fino allora, ho pensato ai musicisti con i quali avrei voluto realizzare il progetto e ho scritto nuove melodie, scritte appositamente pensando a loro, con un occhio di riguardo alle mie radici e imbevute di tutte le mie esperienze passate e presenti.

JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
MC: Il primo ricordo è sentire mia madre cantare per farmi addormentare, era bellissimo e la sua voce splendida.

JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?
MC: Beh, questa è una domanda difficile, diciamo che mi piace considerarmi un musicista che cerca di vedere e capire che cosa succede attorno a se. Ho iniziato suonando hard rock, poi rock, blues, fusion, fino ad arrivare a scoprire il jazz detto “mainstream”. Un percorso al contrario il mio, anche se devo dire che sono sempre stato mosso da una curiosità innata. Questa curiosità costante mi ha spinto a cercare di approfondire sempre di più il mio lato di improvvisatore; mi affascinava il fatto di poter comunicare per mezzo di qualcosa differente dalle parole, ho quindi cercato di sviluppare una mia forma personale di comunicazione, cercando poi di approfondirla e raffinarla attraverso l’ascolto dei grandi maestri dell’improvvisazione, la loro trascrizione, lo studio dell’armonia, composizione ecc.

JC: E in particolare un contrabbassista jazz?
MC: Quando avevo più o meno 15 anni, mia sorella, che ha sempre saputo che sarei diventato un musicista, mi ha comprato una chitarra elettrica ma mi sono accorto che avevo le mani troppo grosse per quel manico così piccolo. Sono così passato al basso elettrico, il che è stato come un’illuminazione, il registro grave mi ha subito affascinato. Sono poi approdato al contrabbasso, che è la sintesi di vari mondi, l’antico e il moderno. Uno strumento a parte, difficile (e quindi intrigante), molto fisico, vivo, ma capace di sorprendere per il calore del suo suono o per la bellezza di una melodia suonata nel suo registro grave o acuto con arco o in pizzicato. Devo comunque dire che il contrabbasso e il basso rispecchiano un poco la mia personalità: concentra su di se l’attenzione ma cerca di amalgamare e coniugare tutti gli strumenti del gruppo.

JC: Ma cos’è per te il jazz?
MC: Il jazz è un po’ una filosofia di vita. Il jazz è ricerca, storia, tradizione, innovazione, tristezza ed allegria, ma anche radici e famiglia. È un contenitore dove puoi mettere dentro di tutto e dal quale puoi tirare fuori di tutto, il risultato sarà sempre differente perché a seconda delle circostanze, persone, luoghi e orari avremo sempre situazioni e performance uniche ed irripetibili.

JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
MC: Associo concetti, idee e sentimenti che anche se possono sembrare contrastanti rendono bene l’idea del jazz. Il jazz è contrasto, a volte scontro, energia, interplay e comunione, dialogo, organizzazione, libertà, silenzio e caos. Il sentimento che ha creato la sensazione più forte in me è comunque una sorta di estasi in cui tutto ha un senso, tutto va come vogliamo e dove riusciamo a suonare quello che pensiamo, una sensazione unica e rara.

JC: E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
MC: Direi un CD dove posso alloggiare circa un migliaio di musiche in formato mp3, con un po’ di tutto: heavy metal, classica, jazz, rock progressivo, world music, pop, free, funky, blues, motown… Ma se non fosse possibile e dovessi solo sceglierne uno direi che porterei con me Swing and Dance with Frank Sinatra del 1950, grande big band, grandi arrangiamenti, begli assoli e in più Frank!!!

JC: Quali sono stati i tuoi maestri nel contrabbasso, nella musica, nella cultura, nella vita?
MC: Il primo contatto con la musica è stato alle elementari grazie ad un fisarmonicista che accompagnava il piccolo coro di cui facevo parte: questo signore è Omar Gioia, un signore che rispetto molto e che ancor oggi è possibile incontrare al Biella Jazz Club. Dopo aver cominciato a suonare il contrabbasso ho studiato brevemente con Paolino Dalla Porta, ricordo che dopo averlo sentito suonare con Lee Konitz al Tangram a Milano ho pensato, “wow… vorrei suonare così!” Ancor oggi siamo amici e per me rimane un esempio. Dopo essermi trasferito in Portogallo ed aver iniziato la mia carriera come musicista professionista ho studiato all’ESMAE (Escola Superior de Música e das Artes do Espectáculo) con António Augusto Aguilar e con altri insegnanti tra i quali ricordo Michael Lauren (ritmo), Nuno Ferreira (improvvisazione) e Carlos Azevedo (arrangiamento e composizione).

JC: E i musicisti che più ti hanno influenzato?
MC: Sono Charlie Parker, Stan Getz, Joe Henderson, Frank Sinatra, Chet Baker, Maria Schneider, mentre tra i bassisti e contrabbassisti Ray Brown, Ron Carter, Charlie Haden, Dave Holland, Steve Swallow, Scott LaFaro, Rufus Reid, Jaco Pastorius, John Patitucci, Niels Henning-Oersted Pedersen. Tra i musicisti amici ricordo Laurent Filipe, Francesco Bearzatti e Jean Pierre Como. Generalmente tento assorbire il più possibile da quello che ascolto, da qualsiasi tipo di musica o strumento. A livello musicale e culturale, per me il bebop è stato marcante, come un periodo di rivoluzione ed innovazione sia tecnica che artistica.

JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
MC: Direi che ce ne sono stati molti e spero ce ne saranno tanti altri, ma la pubblicazione del CD Varandas do Chiado probabilmente è la realizzazione di un sogno.

JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?
MC: Sono moltissimi, soprattutto quelli che riescono ad esprimere i sentimenti attraverso il loro strumento. I musicisti che suonano in Varandas do Chiado, fanno parte di questa categoria (Francesco Bearzatti al tenore e clarinetto, João Paulo Esteves da Silva al piano e fisarmonica e Joel Silva alla batteria). Mi è piaciuto collaborare anche con Jean Pierre Como, Laurent Filipe, Didier Lockwood, Ferdinando Faraò, Alex Frazão, João Cunha, Mario Santos, Rodrigo Gonçalves, António Pinto e Bruno Santos, solo per citarne alcuni. Sono una persona a cui piace mettersi sempre in gioco e stare in situazioni nuove e differenti, sia elettriche che acustiche, sono sempre aperto a nuove collaborazioni.

JC: Come vedi la situazione della musica in Italia?
MC: Abitando in Portogallo, ho una visione parziale della situazione musicale italiana, ma sono cosciente che il panorama europeo è abbastanza simile. Pochi locali dove suonare e soprattutto pochi soldi, molta confusione e poche persone con le idee chiare sul cosa fare e in quale direzione. In tutta Europa ci sono musicisti bravissimi con progetti veramente interessanti ma purtroppo in tempi di crisi la cultura e la musica in generale sono sempre maltrattate e marginalizzate, il che è un peccato visto che esiste un pubblico attento e preparato.

JC: E più in generale della cultura in Italia?
MC: Per un italiano che vive all’estero il mezzo culturale assume un aspetto importantissimo. Quando vivevo in Italia davo per scontato che i monumenti, la storia e la cultura erano sempre presenti, a portata di mano. Ora mi rendo conto, essendo lontano, della ricchezza e varietà culturale italiana e cerco di valorizzarla, difenderla e pubblicizzarla. Se tutti si rendessero conto che la cultura, così come la musica e le arti dovrebbero essere difese e alimentate, sotto la pena di scomparire lasciando il posto a mediocrità e squallore, le cose andrebbero decisamente meglio. Purtroppo all’estero ci sono molti luoghi comuni sull’Italia, alimentati dalle peripezie politico/rosa dei nostri nuovi e vecchi governanti.

JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
MC: Sto progettando il Varandas do Chiado Tour, con il quale spero di riuscire a suonare facendo un ponte tra l’Italia e il Portogallo. Ho finito di registrare un progetto di world music che si chiama Latitude 4 con un violinista inglese, un fisarmonicista portoghese e un chitarrista argentino, un progetto totalmente acustico che fonde diversi stili con un risultato molto interessante. Poi ho creato un progetto che si chiama “Cinema e Dintorni” con miei arrangiamenti di musiche per il cinema e temi popolari italiani, dove suono anche il basso elettrico con il chitarrista Ricardo Pinheiro ed il batterista Jorge Moníz.

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